Raccontare la realtà per cambiare la società
Foto di: Jacob Riis
La fotografia documentaria è quel tipo di fotografia che cerca di raccontare la vita reale, catturando situazioni e contesti concreti. Fin dal 1816, quando Nicéphore Niépce scattò la prima fotografia, il mezzo ha affascinato per la sua capacità di registrare la realtà, spingendo molti fotografi a documentare ogni aspetto della vita contemporanea. Già a metà del XIX secolo la fotografia documentaria si affermava come genere autonomo. Con il tempo, però, il suo ambito si è talmente ampliato da includere oggi diversi sotto-generi fotografici.
Non esiste una definizione precisa di fotografia documentaria: è meglio considerarla un termine ombrello, che comprende stili e temi molto diversi, come il documentario sociale, la fotografia naturalistica, l’etnografia fotografica, la fotografia di guerra, il photo-essay, i New Documents e la fotografia del paesaggio sociale. Ciò che li unisce è l’idea di fondo che la macchina fotografica sia uno strumento per registrare la realtà. Pur senza poter essere del tutto oggettiva, la fotografia documentaria ha l’obiettivo di far emergere realtà o ingiustizie altrimenti invisibili.
Dal punto di vista stilistico, i fotografi documentaristi prediligono immagini nitide e limpide, evitando manipolazioni o falsificazioni. Altri generi, come la street photography o il fotogiornalismo, possono talvolta produrre immagini documentarie, anche se il loro scopo principale resta catturare un momento preciso, fugace, che sia un incontro casuale per strada o un evento di cronaca.
“Non voglio che mi spieghiate la fotografia in termini di formule, imparate ma così disperatamente insoddisfacenti. Voglio vedere la luce del sole sulle sue ali mentre vola da fiore a fiore e non mi interessa nulla del suo nome latino.”
Uno dei primi fotografi documentaristi fu Jacob Riis, un immigrato danese, la cui opera ebbe un tale impatto da permettergli di entrare in contatto con il presidente Theodore Roosevelt. Grazie al suo lavoro, Riis riuscì a influenzare la legislazione e a promuovere miglioramenti concreti nella vita di alcune delle persone più povere d’America.
Bandits' Roost, 59 1/2 Mulberry Street
Questa fotografia mostra un vicolo in uno dei quartieri poveri conosciuti come “The Bend”, un’area notoria tra Mulberry, Baxter, Bayard e Park Streets a New York. Riis descriveva The Bend così: «L’abuso è la condizione normale… l’omicidio il suo raccolto quotidiano»
Cresciuto in Danimarca, Jacob Riis arrivò a New York nel 1870. Nel 1877 iniziò a lavorare come cronista di polizia per il New York Tribune. L’anno successivo, dopo aver letto dell’invenzione della polvere flash al magnesio, che rendeva possibile la fotografia notturna, Riis si dedicò alla fotografia. Cominciò a visitare i quartieri più poveri della città di notte, accompagnato dai suoi due assistenti e da un poliziotto, talvolta sorprendendo gli abitanti con il brusco lampo della sua macchina fotografica. Come scrisse Bonnie Yochelson, le sue immagini «catturavano ciò che prima non era mai stato visto in una fotografia, e conservano ancora oggi la loro forza, perché la luce intensa e le composizioni improvvisate trasmettono il caos della vita nella povertà».
Influenzato dai movimenti progressisti di riforma sociale, nati a metà del XIX secolo con la fondazione della Society for Ethical Culture da parte di Felix Adler, Riis pubblicò le sue fotografie, accompagnate da testi esplicativi, nel libro How the Other Half Lives (1890). Quest’opera pionieristica, che documentava la povertà degli immigrati urbani, stimolò riforme legislative e divenne un lavoro fondamentale della fotografia documentaria sociale.
Tuttavia, sebbene le immagini mostrassero la realtà dei quartieri poveri, Riis contribuì anche a perpetuare molti degli stereotipi dell’epoca. Come osserva il curatore contemporaneo Daniel Czitrom: «Mi ha sempre colpito la tensione tra l’empatia e la simpatia così fortemente rappresentate in molte di quelle immagini, e il tipo di stereotipi e linguaggio razziale che lui utilizza nei testi. C’è una tensione tra testo e fotografie. Oggi quasi nessuno legge più Riis, eppure le fotografie rimangono incredibilmente commoventi».